RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DA ASSOCIAZIONI FEDERATE “COPEV”

Carissimo Presidente ,
Grazie a nome mio e della FEDERAZIONE LIVERPOOL
PER IL CONTRIBUTO FORNITO
Giampiero Maccioni  Presidente Federazione LIVERPOOL
Il Presidente COPEV intervista un paziente Covid
D: “Sig. M. la ringrazio di aver accettato questa intervista. Quando ha avuto i primi sintomi della malattia?”
R: “Il 24-25 marzo ho accusato febbre alta, dolori articolari”
D: “Cosa ha fatto?”
R: “Ho chiamato il medico di base, che non è venuto a visitarmi e mi ha consigliato di prendere la tachipirina e di tenerlo aggiornato”
D: “Quando si è aggravata la situazione?”
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R: “Dopo 4-5 giorni poiché la febbre persisteva il medico di base mi ha prescritto un antibiotico generico, che non ha avuto effetto neanche dopo 2-3 giorni, dopo ulteriori 3-4 giorni, ho avuto una crisi respiratoria (anche perché avevo la saturazione bassa) e ho chiamato l’ambulanza”
D: “L’ambulanza è venuta subito?”
R: “L’ambulanza è venuta subito. In realtà l’avevo chiamata anche prima ma mi avevano convinto a non andare in ospedale. Solo quando ho avuto la saturazione bassa e difficoltà respiratorie si sono convinti a portarmi all’ospedale. Nel frattempo erano passati circa 8 giorni.”
D: “Dove è stato ricoverato?”
R: “Sono stato prima portato al pronto soccorso Covid dell’Ospedale Niguarda il 02/04/2020 ove non vi era affollamento e in un’ora mi hanno fatto una serie di esami (tampone, radiografie, tac, ecc…). Ho passato lì la notte perché sono giunto al pronto soccorso verso le 23 e mi hanno trattenuto per accertamenti. Gli esami hanno riscontrato una positività al tampone e una polmonite bilaterale. Mi hanno ricoverato la mattina successiva verso le 9 in una stanza a due dove si sono succeduti due pazienti abbastanza giovani sulla quarantina”
D: “Che terapia le hanno praticato?”
R: “Mi hanno somministrato Plaquenil associato ad antibiotico, il cortisone, iniezioni di eparina. Mi hanno collegato ad una flebo ed ero attaccato ad una mascherina di ossigeno”
D: “è andato in terapia intensiva?”
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R: “Fortunatamente no”
D: Quanto è durato il ricovero?”
R: “16 giorni circa e la febbre è cominciata a scendere solo dopo una settimana dal ricovero”
D: “Dopo le dimissioni è stato in quarantena?”
R: “Sì, sono stato 14 giorni a casa. Dopo di che mi hanno fissato un appuntamento per fare il primo tampone di verifica effettuato dopo circa altri 5 giorni, poi i primi di maggio ho fatto il secondo tampone anch’esso negativo”
D: “Quanti anni ha? E ha avuto patologie pregresse?”
R: “Ho 54 anni e avevo subito solo un’ablazione per un’aritmia oggi risolta”
D: “Qual è stata la situazione familiare?”
R: “Sono stati contagiati mia moglie e il mio bambino di tre anni. Ricoverati entrambi qualche giorno dopo il mio ricovero all’Ospedale Sacco nella stessa camera. Sono stati dimessi qualche giorno dopo di me. Mia moglie ha contratto una polmonite mentre il bambino era positivo ma asintomatico. Riuscivamo a sentirci tramite cellulare.”
D: “Come è avvenuto il ricovero per sua moglie e suo figlio?”
R: “Dopo tre giorni dal mio ricovero, mia moglie ha accusato tosse e non febbre e ha telefonato al 118 dicendo che io ero positivo e sono intervenuti subito”
D: “è rimasta qualche conseguenza?”
R: “Fortunatamente non ho strascichi. Però questa esperienza per me è stata dura sia dal punto di vista fisico e soprattutto dal punto di vista emotivo, perché si era chiusi in
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una stanza senza poter aver contatti con nessuno con l’incertezza data da una malattia che non aveva ancora una cura specifica.”
D: “Vi sono stati dei controlli durante la quarantena?”
R: “Sì. Un paio di volte è venuta la polizia locale a verificare se fossi in casa.”
D: “L’assistenza in ospedale è stata buona?”
R: “Sì, in questo contesto devo elogiare tutto il personale sanitario del Niguarda. Sia medici che infermieri sono stati, oltre che estremamente professionali, anche molto disponibili e umani. Mi monitoravano diverse volte al giorno”
D: “Un ricovero tempestivo sarebbe stato più utile?”
R: “Così mi hanno detto i medici”
D: “Sig. M. la ringrazio molto e le formulo i migliori auguri di buon lavoro”.
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Trapianti di Fegato e COVID al Policlinico di Milano
L’avvento della pandemia COVID-19 ha drasticamente cambiato tutte le attività mediche ed in particolare le attività chirurgiche che hanno subito una netta riduzione riservando la chirurgia solo alle urgenze ed ai casi indifferibili. In ambito trapiantologico la peculiarità dei pazienti particolarmente defedati dalla malattia e la necessità dell’immunosoppressione post-trapianto hanno ancora più stressato il “sistema trapianti” con diverse prese di posizione che ovviamente devono tenere conto anche delle peculiarità dei singoli ospedali.
La pandemia COVID-19 ci ha quindi indotto a prendere una posizione chiara per i pazienti in lista di attesa per trapianto epatico e di renderla ufficiale chiedendone la pubblicazione sulla prestigiosa rivista American Journal of Transplantation (AJT).
All’inizio della pandemia a febbraio le disposizioni del Centro Nazionale Trapianti (CNT) sono state prontamente date come linee guida sul donatore e cioè che tutti i donatori delle aree rosse devono fare il tampone nasofaringeo o il bronco lavaggio alveolare (BAL) per escludere ovviamente i positivi dalla donazione. Peraltro il CNT in queste linee guida non ha dato specifiche indicazioni per i riceventi di queste aree rosse ad alto rischio.
L’incertezza su una patologia virale ancora “sconosciuta” ma potenzialmente letale ci ha indotto ad introdurre nella nostra pratica clinica delle norme precauzionali molto strette in base alle evidenze (poche) che c’erano in Febbraio e questo
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nell’ottica sia della sicurezza del paziente che degli operatori sanitari.
Questa decisione di prendere una linea interna era anche riferita alla posizione del nostro Ospedale come centro regionale di riferimento di Terapia Intensiva (TI) per le forme severe di COVID-19 e quindi con un riadattamento delle disponibilità di letti di TI disponibili non COVID.
L’ orientamento generale dell’Ospedale è stato di limitare le attività chirurgiche alle urgenze ed ai casi indifferibili (vedi pz. oncologici).
Peraltro in questa prima fase era stata presa in considerazione anche la netta riduzione di donatori per l’impegno delle Terapie Intensive con i pazienti COVID che ha influenzato il processo di identificazione di potenziali donatori.
Si è quindi, insieme ad infettivologi ed anestesisti, cercato di fare un bilancio sui benefici di fare un trapianto (Tx) durante questa fase. Da un lato i pazienti in lista necessitano di Tx per risolvere la loro patologia di base con il rischio di morire in attesa ma dall’altro c’è il rischio di un possibile risultato fatale per infezione post-Tx e di contagiare gli operatori sanitari con spread dell’infezione dentro e fuori l’ospedale.
In questo bilancio si erano anche considerate le limitate risorse di TI non solo nel nostro ospedale ma anche nella regione.
Essendo in una fase iniziale in cui le conoscenze sulla cinetica del virus erano molto scarse e la possibilità di falsi negativi del tampone la nostra decisione è stata molto prudenziale:
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– Limitare ai casi più urgenti il trapianto per i pazienti dell’area endemica (area rossa)
– Un’ allocazione più liberale per i pazienti al di fuori delle aree ad alto rischio (area rossa)
– Si è deciso anche obbligatorio il tampone del ricevente al momento della disponibilità dell’organo (anche se non richiesto dal CNT) oltre ad una anamnesi completa accurata per evitare ovviamente di trapiantare ed immunosopprimere un paziente positivo o che comunque possa avere avuto sintomi o contatti con positivi..
– Continuare a rivedere la nostra procedura ogni 2 settimane anche in base all’andamento dei numeri di infetti pronti a limitare il Tx ai solo casi urgentissimi salvavita.
– Rivedere con l’evoluzione delle conoscenze della malattia la nostra posizione sul Tx pronti a cambiamenti sia in senso restrittivo che più liberale.
Quello proposto e pubblicato è stato il nostro primo approccio al trapianto di fegato nella fase 1 del COVID-19 outbreak (vedi flowchart pubblicata su (AJT)
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Ora che in Italia siamo in una fase di transizione dalla fase 1 pandemica ad una possibile fase 2 endemica della malattia abbiamo voluto rivalutare la nostra posizione e descrivere il nostro atteggiamento sia per i pazienti non-COVID-19 e particolarmente per i Past-COVID-19 con scopo di bilanciare il potenziale rischio del trapianto in pazienti con precedente COVID-19 con la morbidità/mortalità dei candidati in lista di attesa.
Mentre c’è evidenza che ci siano risultati sfavorevoli per i pazienti trapiantati che sviluppano malattia COVID-19 non ci sono dati sui risultati dopo Tx in pazienti che hanno recentemente superato un’ infezione COVID-19.
L’oggetto della nostra seconda pubblicazione su AJT è stata quella di rivedere, alla luce delle nuove evidenze, le posizioni che si erano prese in fase 1 considerando anche il nascente problema del Tx in pazienti con recente e superata infezione COVID-19 che si sta ponendo sempre più.
In questa seconda fase si mantiene ovviamente la controindicazione assoluta al Tx per i pazienti COVID-19 positivi che entrano quindi in uno stretto follow-up ma vanno presi in considerazione anche i pazienti già in lista o che devono entrare in lista ed hanno sviluppato la malattia o che comunque anche in assenza di sintomi hanno avuto tampone positivo e che poi sono guariti.
Questa revisione del nostro atteggiamento è stata presa con la stretta collaborazione degli infettivologi ed anestesisti partendo dal presupposto di massima prudenza.
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I pazienti sono considerati guariti (Past-COVID-19) una volta documentata la risoluzione clinica e la clearance virale (2 tamponi negativi fatti almeno 2 settimane dalla guarigione)
Sta sempre più emergendo col passare delle settimane anche la problematica delle conseguenze tardive polmonari/cardiovascolari/ micro vascolari per cui abbiamo considerato prudenziale avere in questi pazienti in lista che hanno avuto COVID una rivalutazione cardiopolmonare (coagulazione, markers infiammazione, TAC torace, spirometria , ecocardiogramma) a 28 giorni dalla negatività prima di riattivare il paziente in lista.
Ovviamente ci sono situazioni in cui il paziente non può aspettare
Per quanto riguarda ì candidati al Tx Past-COVID-19 ad alto rischio di mortalità a 30 gg (MELD>30) e che quindi non hanno la possibilità di seguire lo schema sopraddetto si è presa la decisione di valutare singolarmente i casi in modo multidisciplinare.
Per le urgenze (insufficienze epatiche fulminanti etc.) il candidato viene valutato con sierologia, 2 tamponi/BAL con test sensibile PCR a distanza di 24 ore e TAC torace e quindi inserito in lista con priorità a livello nazionale.
Per quanto riguarda i nostri pazienti in lista Tx senza storia clinica di COVID-19 eseguono la sierologia (IgM/IgG) ogni 3 mesi e se positiva eseguono il tampone.
I candidati a trapianto sierologicamente negativi eseguono, quando disponibile il donatore, tampone e TAC torace. Al momento del Tx eseguono anche sul BAL la ricerca del virus
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secondo metodica PCR (che è molto sensibile) per eventualmente isolare i positivi e minimizzare quindi il rischio di outbreak nosocomiale.
L’attività trapiantologica deve riprendere ma la mancanza di forti e conclusive evidenze scientifiche ci deve spingere a bilanciare rischi e benefici di ogni atto medico e tutti i protocolli decisionali saranno costantemente da rivalutare in base alle continue evoluzioni delle conoscenze sulla malattia virale.
Anche questo secondo modello di nostra gestione è in pubblicazione sull’AJT.
Prof. Giorgio Rossi
Ordinario di Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Milano
Direttore U.O. Chirurgia Generale e Trapianti di Fegato del Policlinico di Milano